www.borrello.net
 Tempi di fame

 

Ultimo aggiornamento di questa pagina: 25 gennaio 2006

C'era una volta un tempo in cui mangiare era un problema. A quel tempo mio nonno, Vito, gestiva parecchi terreni per conto di alcune famiglie che le possedevano. Una volta, mentre andava in giro a cavallo per controllare questi terreni, sorprese un uomo che stava rubando delle fave da una campagna e lo caricò con il suo cavallo. Dopo avergli fatto prendere un po' di paura ed averlo avvertito di non provarci più a rubare, lo mandò via... lasciandogli quanto aveva "rubato" e, forse, aggiungendone anche un po'!

Anni '40, guerra. Fame e tessere annonarie per acquistare qualunque cosa. Mio nonno si ritrovava a dover sfamare una famiglia numerosa ed il fatto di "gestire" tante terre affidategli per essere coltivate gli dava modo di affrontare il problema abbastanza agevolmente. Almeno per la situazione che c'era in quel momento, ovviamente. E proprio per questo motivo diede istruzioni alle donne della famiglia affinché prendessero con le tessere di tutti loro tutto ciò che poteva essere preso e poi che fosse distribuito alle famiglie più bisognose del paese.

Capitava che mio nonno vedesse passare qualcuno del paese. E capitava anche che mio nonno chiedesse al viandante: "Hai fame?", ben conoscendo peraltro la risposta, che invariabilmente era "Si". Nel "castello" dove viveva tutta la sua famiglia la tavola doveva essere sempre imbandita e pronta, ad ogni ora di tutti i giorni. Allora mio nonno invitava il passante a fermarsi a mangiare qualcosa. Magari due orecchiette o una frisa, un po' di verdura, un bicchiere di vino. Insomma, quel che c'era. Alla fine aggiungeva qualcosa per la famiglia: un po' d'olio, della farina. Il pasto si concludeva poi con i saluti e con l'indicazione di quale campagna aveva bisogno di essere zappata, seminata o altro, a seconda delle abilità della persona. Come dire... pagamento anticipato

Parliamo del dopo guerra, poco lavoro, tanta fame e tanti figli.
Questa è la storia di una donna che si sposa e quando capisce che è incinta e lo rivela al marito si ritrova sola, abbandonata con un marito che parte al nord a cercar lavoro e mai più tornerà.
In preda alla disperazione e alla fame ma con tanta fede in Dio portò avanti la gravidanza, e quando giunse l’avvenimento più bello, fu data notizia in paese e soprattutto giunse alle orecchie di mio nonno, uomo generoso ma anche burbero per molti versi.
Nonno che subito si recò alla sua dimora per parlare con sua moglie “patruna Filumena”, e disse “è nata la figlia di…, fai quello che devi fare e manda un servitore a portare quello che sai”.
Quello che devi fare significava preparare una bottiglia di olio un lenzuolo nuovo e pulito e una pignata (pentola di creta che serve per cucinare i legumi al fuoco) di piselli.
La povera donna riuscì a mangiare e condire la minestra e scaldare quella bambina. Ora vive in una bellissima città Italiana con la madre e la sua famiglia.
Oggi regalare una bottiglia di olio e un lenzuolo farebbe ridere tutti. A quei tempi mio nonno salvò quella famiglia.
Storia scritta da Claudia Borrello

A casa di mio nonno la tavola era sempre imbandita e la porta di quella casa sempre aperta a tutti. Si mangiava, si lavorava si pregava...
Spesso molti commercianti di altri paesi si fermavano in casa dei miei nonni per comprare, vendere o scambiare merci, e le trattative qualche volta erano lunghe. Non si poteva mai andare via senza bere un buon bicchiere di vino accompagnato da noci e formaggio.
Pensate quante e quante volte in un mese lavorativo avveniva questo, e anche se mio nonno aveva tanti vigneti, a lungo andare il vino finiva. E allora furbamente mio nonno, da buon commerciante, aspettava che i suoi amici fossero un po’ ubriachi e poi annacquava il vino. A quel punto non si riusciva certo a distinguere se fosse vino o altro…
Contenti tutti e amici più di prima.
Storia scritta da Claudia Borrello

Il giorno dei morti, il due novembre, mia nonna ospitava qualcuno (un mendicante, una zingara ecc.) che non fosse del paese e offriva tutta l’ospitalità. Si dice che facesse “i morti”, come se fosse in suffragio a qualcuno che, da morto, dava a chi fosse bisognoso da mangiare e non solo.
Una vecchia abitudine che ricordo anch’io da bambina: quel giorno se ti capitava di andare a casa di qualcuno ti dovevano fare un regalo, ti facevano “i morti”.
Storia scritta da Claudia Borrello

 

Non si creda che mio nonno fosse un benefattore. E neanche uno sfruttatore. Era semplicemente un uomo che sentiva sulle sue spalle delle responsabilità che andavano oltre quelle della sua famiglia, estendendosi a quella famiglia allargata che oltrepassa i limiti del cognome e si estende anche a quei compaesani che per un motivo o per l'altro non ebbero le stesse opportunità che mio nonno, ed il suo prima di lui, seppero sfruttare.

Home ] Su ]

 
Potete inviare a postmaster\°chiocciola\°borrello.net un messaggio di posta elettronica contenente domande o commenti.